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Alexandre Pato, un "papero" di successo

di Francesco Letizia
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Il viso da bambino, i capelli impomatati alla Cristiano Ronaldo (uno dei suoi idoli, insieme all'"altro" Ronaldo), l'acne che sembra voler ricordare quanto sia difficile a quell'età essere già un campioncino: Alexandre Rodrigues da Silva è tutto qui, in quello sguardo un po' timido che lo fa sembrare l'amico del cuore che ogni bambino avrebbe voluto avere, il bravo ragazzo che ogni mamma vorrebbe far sposare alla propria figlia. E quel soprannome, "Pato", "il papero", affibbiatogli in infanzia per il nome del suo paese nativo (Pato Branco, nello stato del Paranà, paese che ha dato ai natali ad un monumento del calcio brasiliano, il portiere goleador Rogerio Cèni) ma anche per questo buffo aspetto che ricorda un cartone animato (un'etimologia molto vicino a quella di un altro golden-boy sudamericano, "El Kun" Sergio Aguero), sta facendo impazzire il mondo del calcio: in ogni angolo del globo si parla di colui che ha battuto il record di Pelè come il più giovane marcatore della storia in una competizione ufficiale Fifa (17 anni e 102 giorni, contro i 17 anni e 239 di "O Rey" nel Mondiale '58 contro il Galles).

A 7 anni il suo nome era già il più chiacchierato dello Stato, ogni impresario brasiliano conosceva vita, morte e miracoli del bambino prodigio che fino a quel momento si era dedicato solo al calcetto dall'età di 3 anni: l'impatto con il calcio a 11 avviene nel 1996, quando il piccolo Alexandre entra a far parte del Gremio Industrial Patobranquense, squadra consociata del ben più importante Gremio Porto Alegre, la società in cui proprio in quegli anni si stava formando un certo Ronaldinho Assis Gaucho. Nel 2002, mentre il suddetto Ronaldinho Gaucho incanta il Giappone e si laurea Campione del Mondo con la maglia della Seleçao, il tredicenne Pato decide di trasferirsi nel Rio Grande do Sul, precisamente nella capitale dello stato, Porto Alegre: ma non per vestire il nerazzurro del Gremio, ma per provare, come molti suoi coetanei, la fortuna in un provino dello Sport Club Internacional, squadra senza dubbio meno blasonata dei cugini. Il giovane Pato risulta il più forte di tutti gli '83 partecipanti e inizia da lì la sua breve ma intensa cavalcata alla conquista del Mondo: nei campionati giovanili, Alexandre mette in mostra tutte le sue doti da giocatore offensivo "totale", abile tecnicamente ma spietato sotto porta, dotato di un buono stacco di testa, veloce nel breve ma dotato anche di una discreta progressione. Nel 2005, la consacrazione nel campionato nazionale under 20: il piccolo fenomeno incanta e trascina la sua squadra al titolo, dove in finale neanche l'inserimento di un altro prospetto interessantissimo, quel Luis Anderson attualmente al Porto, può salvare il Gremio da una doppia disfatta trasformatasi in un Pato-Show (doppietta nella gara di ritorno). Il 2006 è un anno incredibile per l'Internacional: l'esplosione di Rafael Sobis, ragazzo che ha seguito un cammino molto simile a "The Duck", trascina il club al successo nella Copa Libertadores, il trofeo più ambito del Sudamerica; in contemporanea, Alexandre fa bissare alla squadra giovanile il titolo nazionale, diventando con 7 reti anche il capocannoniere del torneo. Rafael Sobis ad agosto saluta il pubblico di Porto Alegre triste per il trasferimento dell'idolo della Torcida, ma il presidente del club Fernando Carvalho assicura: "Non rimarremo soli, stiamo nascondendo in casa un Fenomeno: tifosi, abbiate fiducia!". Detto, fatto: al giovane campioncino bastano pochi minuti all'esordio in prima squadra contro il Palmeiras per mettere a segno un gol di pregevole fattura, un micidiale inserimento centrale sgusciando via al difensore Daniel, e tre assist (il più bello un dolce "lob" per Iarley) per il 4-1 finale. L'impatto con il calcio professionistico è di quelli che lasciano il segno: il 26 novembre 2006 è un momento che con molte probabilità passerà alla storia del calcio. L'Internacional vola in Giappone per il Mondiale per Club, e il suo nuovo numero 11 è l'osservato speciale della stampa mondiale: su di lui si pronuncia in toni entusiasti anche Ronaldinho, che lo nomina suo "erede naturale". In verità con il Pallone d'Oro, Pato divide solo una straordinaria tecnica; il modo in cui accarezza il pallone con le sue caratteristiche scarpe gialle è ammaliante, la freddezza sotto porta, la fiducia nei suoi mezzi, la caparbietà nelle sue azioni sono le sue principali doti... Il calcio per Pato, come da costume della cultura brasiliana, è spettacolo, gioia e leggerezza, ma non solo: nonostante sia dotato di numeri tecnici ben oltre il normale nel suo destro dal vellutato controllo di palla ("Il migliore che abbia mai visto" - racconta Jorge Macedo, tecnico delle giovanili dell'Inter) e di un dribbling stretto fulminante e alla Messi non si incaponisce nella giocata fine a se stessa, anzi concretamente pensa subito a finalizzare l'azione a rete con incisività e freddezza degna del miglior Inzaghi. In questo aspetto riemerge il suo passato da giocatore di futsal, da cui ha importato la smania di concludere in fretta in porta e la volontà di essere sempre nel vivo della parte finale dell'azione più che in quella di impostazione e rifinitura. Ciò alimenta la disputa sulla definizione del suo ruolo: a chi lo vedrebbe seconda punta o rifinitore, visti gli straordinari mezzi tecnici, Pato risponde di voler giocare prima punta, così come gli sta permettendo di fare Abel Braga (ponendogli alle spalle il "10" Iarley e capitan Fernandao a fare da congiunzione col centrocampo sulla fascia destra). Il resto è storia recente: il gol all'Al Alhy in una partita giocata con una spensieratezza calcistica ben simboleggiata da uno stupefacente controllo prolungato di palla con la spalla (un giochetto simile a quello di "Foquinha" Kerlon, altro bimbo d'oro brasiliano), le luci e ombre della finale col Barça in cui solo la ruvida marcatura di Puyol ha saputo fermarlo, il trionfo sul tetto del Mondo ai danni dei Ronaldinho's Boys. A lui oggi è interessato fortemente il Milan, che dopo le parole di elogio spese da Umberto Gandini pare essere passato alle vie di fatto con un'offerta di 14 milioni di dollari: lo stanno seguendo con interesse nel torneo Sudamericano Sub20, in cui il gioiellino di Pato Branco ha potuto trovare posto nella formazione titolare solo a partire dal terzo turno, a causa di qualche malanno fisico che si trascina ancora dalla magica notte di Yokohama. Subentrando dalla panchina all'esordio, doppietta stupefacente ai danni del Cile, con un capolavoro di tacco degno del miglior Rivaldo ed un gol di testa, bissato nel terzo match contro la Bolivia: Dunga ha già fatto sapere che intende convocarlo prossimamente per l'esordio nella Seleçao maggiore, il sogno di ogni ragazzino carioca. Per qualcuno è il nuovo Ronaldo, per altri l'erede di Ronaldinho, ricorda un incrocio tra Romario e Bebeto: per rendergli giustizia, probabilmente sarebbe meglio valutarlo semplicemente come Pato Alexandre, un predestinato a diventare qualcuno con il suo nome e i suoi lampi di genio, le accelerazioni e i gol, i tacchi e i cucchiai, senza bisogno di etichette dannose e pesanti da caricare su quelle spalle ancora troppo gracili (forse unico difetto reale, l'assenza di una imponente struttura muscolare, un po' come il primo Kakà dell'era Sao Paulo) di un diciassettenne "speciale" sì, ma pur sempre un diciassettenne...

Alexandre è stato ormai eletto a plebiscito il re di Porto Alegre, da una tifoseria che impazzisce per lui (e non mancano i cori di incitamento al "papero" abbinati allo scherno nei confronti del rivale gremista Ronaldinho) e dalla dirigenza del club campione del mondo: un amore ricambiato, viste anche le dichiarazioni di suo padre Geraldo (che detiene metà cartellino del giocatore) che assicura in un futuro addio con riconoscenza (alla Sobis), non risparmiando le frecciate al numero 10 blaugrana, colpevole di esserne andato dal Gremio nel 2001 sfruttando la rescissione FIFA senza aver rispetto del suo club di formazione. Qualora decidesse di lasciare a breve l'Inter, con cui ha un contratto fino al 2011 di soli 6mila euro mensili d'ingaggio, a Milano qualcuno già sogna di coccolarlo come avvenuto con Ricardo Kakà, di scoprire il suo talento giorno per giorno, notandone a occhio nudo i miglioramenti esponenziali in campo tattico e fisico (in quello tecnico il livello è tanto alto da non esserci margine...). Quel qualcuno è Ariedo Braida, direttore generale dei rossoneri, che con convinzione vuole portare la nuova stella del calcio Mondiale a Milanello a qualsiasi costo, e costruire su lui e il 22 di Brasilia un nuovo ciclo vincente in rosso e nero, per tornare a riassaporare quanto è dolce alzare un trofeo importante come il Mondiale per Club in Giappone...

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Lunedì 31 Dicembre 2018
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